Fideiussioni e modello ABI: il punto sulla giurisprudenza di merito e di legittimità
1.Dal provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 della Banca d’Italia alla sentenza n. 29810 del 12 dicembre 2017 della Corte di Cassazione
A partire dalla nota pronuncia della Cassazione del 2017 (sentenza n. 29810 del 12 dicembre 2017), tra giuristi e operatori del settore si è acceso un animato dibattito circa la validità delle fideiussioni predisposte secondo il modello ABI del 2003. Come ben noto, il modello ABI del 2003 consiste in uno schema contrattuale avente ad oggetto le condizioni generali di contratto relative alle fideiussioni bancarie dette omnibus, quelle fideiussioni cioè che comportano il rilascio di una garanzia a copertura dell’adempimento di tutte le obbligazioni future contratte dal debitore principale della banca e limitate esclusivamente nel massimale garantito.
Tale modello è stato tuttavia oggetto di censura da parte della Banca d’Italia la quale con il provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 ha dichiarato lo schema predisposto dall’ABI in parte contrario alla normativa posta a tutela della concorrenza e del mercato. Nello specifico il provvedimento n. 55 del 2005 della Banca d’Italia ha rilevato la contrarietà di alcune clausole dello schema all’articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/90 (la c.d. legge antitrust). Le clausole oggetto di censura da parte della Banca d’Italia hanno, in particolare, riguardato:
– le clausole definite di “sopravvivenza” e, precisamente, l’art. 2 secondo cui il fideiussore è tenuto “a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo”, nonché l’art. 8 secondo cui “qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate”;
– la clausola in materia di rinuncia ai termini dell’art. 1957 c.c. e, precisamente, l’art. 6 secondo cui “i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 cod. civ., che si intende derogato”.
Secondo la Banca d’Italia l’applicazione generalizzata di tali clausole comporta evidenti effetti anticoncorrenziali sul mercato, non essendo le suddette pattuizioni funzionali a garantire l’accesso al credito bancario ma avendo il solo scopo di addossare al fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’invalidità o dall’inefficacia dell’obbligazione principale e degli atti estintivi della stessa, ovvero derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza dovuti dalla banca.
Successivamente al provvedimento reso dalla Banca d’Italia, la Corte di Cassazione è stata ivestita della questione circa la richiesta di risarcimento del danno avanzata da un fideiussore che aveva sottoscritto una garanzia di contenuto identico al modello ABI. Con la sentenza n. 29810 del 2017 la Suprema Corte ha riconosciuto che la nullità prevista dall’art. 2 della legge n. 287/1990 riguarda non solo il negozio giuridico all’origine della violazione (ossia l’illegittima intesa “a monte” delle banche che hanno adottato il modello ABI), ma si riflette anche su tutti i conseguenti contratti “a valle” (ossia sulle singole fideiussioni stipulate). La Cassazione, tuttavia, con tale pronuncia non si è espressa circa le conseguenze della nullità delle fideiussioni “a valle”, lasciando così aperta la questione circa la validità di quei contratti di garanzia che riproducono pedissequamente il contenuto del modello ABI.
2. I successivi orientamenti della giurisprudenza di merito e di legittimità
La successiva giurisprudenza di merito e di legittimità è stata dunque chiamata a rispondere all’interrogativo in merito agli effetti della violazione della normativa antitrust sulla validità delle fideiussioni “a valle” conformi allo schema ABI. Sul punto si sono, di fatto, formati diversi orientamenti giurisprudenziali, ma quello maggioritario propende per la tesi della nullità parziale della fideiussione, ossia di un’invalidità limitata alle sole clausole conformi al modello ABI. Accanto a tale indirizzo interpretativo, si sono tuttavia affiancati due ulteriori orientamenti minoritari antitetici tra loro: uno che sposa la tesi della nullità totale della garanzia prestata, l’altro che sostiene la piena validità della fideiussione conforme al modello ABI.
2.1. La giurisprudenza di merito
La tesi della nullità parziale
Come è stato accennato, l’orientamento giurisprudenziale maggioritario propende per la tesi della nullità parziale della fideiussione. Tale indirizzo giurisprudenziale fa essenzialmente leva sull’art. 1419 c.c. in materia di nullità parziale e, nello specifico, sul principio di conservazione del contratto in forza del quale la nullità di singole clausole contrattuali non travolge necessariamente l’intero accordo, ad eccezione del caso in cui i contraenti dimostrino che non avrebbero concluso il contratto in assenza delle clausole affette da invalidità.
In questo senso si è recentemente espresso il Tribunale Pavia in data 5 febbraio 2020, il quale con una minuziosa motivazione ha giustificato l’applicabilità della nullità parziale in virtù del fatto che:
a) il riconoscimento del rilievo costituzionale delle disposizioni a tutela della concorrenza non comporta automaticamente la nullità totale del contratto “a valle” e tanto anche in ragione del fatto che l’art. 2 della legge n. 287/1990 non fa discendere in alcun modo l’invalidità dell’intero contratto dalla violazione della normativa antitrust a mezzo di intese per la standardizzazione contrattuale;
b) l’invalidità parziale è più coerente con la disciplina in materia di nullità e in particolare con l’art. 1419 c.c. che, in caso di nullità di singole clausole, subordina la nullità dell’intero contratto alla circostanza che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte di contenuto;
c) la tesi della nullità totale è illogica in quanto non proporzionata rispetto al contenuto dello stesso provvedimento della Banca d’Italia che ha riconosciuto la compatibilità tra la standardizzazione contrattuale e la disciplina in materia di concorrenza (e dunque la validità delle relative clausole modello) purché sia garantita la “diversificazione del prodotto offerto” e “un equilibrato contemperamento degli interessi tra le parti” e pertanto sanzionare con la nullità totale il contratto “a valle” comporterebbe il riconoscimento di effetti più gravi rispetto agli effetti prodotti sul contratto “a monte” dal provvedimento della Banca d’Italia.
In senso sostanzialmente analogo si sono registrate anche altre pronunce dei giudici di merito tra le quali si ricorda:
– il Tribunale Milano in data 28 aprile 2020 (consultabile al sito www.ilcaso.it), secondo cui «[l]a nullità si riverbera unicamente sulle 3 clausole in questione, dovendosi fare applicazione del disposto di cui all’art. 1419 2° co posto che non risulta che i medesimi [n.d.r. i fideiussori] non avrebbero sottoscritto la fidejussione senza la presenza di dette clausole (che anzi erano favorevoli alla banca)»;
– il Tribunale Catania in data 28 marzo 2020 (consultabile al sito www.expartedebitoris.it), secondo cui «la Suprema Corte sul punto ha escluso che nella fattispecie in oggetto possa configurarsi l’ipotesi di nullità totale delle fideiussioni ritenendo che “nel caso in esame, sebbene effettivamente nel contratto di fideiussione stipulato tra gli appellanti e la Banca, siano presenti le clausole sopra riportate (2, 6 e 8) riproducenti nella sostanza il contenuto delle clausole ABI, dichiarate illegittime dall’Autorità Garante, tuttavia la nullità delle stesse non può condurre ad una declaratoria di nullità dell’intero contratto, in mancanza di allegazione che quell’accordo, in mancanza delle dette clausole, non sarebbe stato concluso. Ne consegue che, benché le clausole 2, 6 e 8 del contratto di fideiussione siano nulle, il contratto è tuttora valido ed esistente tra le parti»;
– il Tribunale Velletri in data 11 marzo 2020 (consultabile al sito www.ilcaso.it), secondo cui «la prospettata nullità non potrebbe che essere quella c.d. relativa ex art. 1419, primo comma, c.c. (così anche Trib. Padova 29.1.19, citata da parte opponente; trib. Mantova 16.1.19), colpendo le singole clausole contrattuali e non già l’intero contratto fideiussorio, con particolare riferimento a quelle di cui agli artt. 2, 6 e 8»,
– il Tribunale Rimini in data 29 febbraio 2020, secondo cui «anche ove le clausole in questione dovessero ritenersi nulle, alla stregua di quanto previsto dall’art. 1419 c.c., la loro invalidità non determinerebbe quella dell’intera fideiussione, dovendosi presumere, sulla base di quanto emerso dal giudizio, che le parti avrebbero egualmente stipulato l’atto di fideiussione avendo avuto di mira, da un lato, la stipulazione dei contratti di conto corrente e di apertura di credito alle condizioni economiche pattuite e, dall’altro, il rilascio della garanzia fideiussoria»;
– il Tribunale Perugia in data 21 gennaio 2020, secondo cui «le clausole in questione anche ove nulle non comporterebbero la nullità dell’intera garanzia prestata atteso che, alla stregua di quanto previsto dall’art. 1419 c.c., la loro invalidità non determina quella dell’intera fideiussione, dovendosi presumere, secondo una indagine condotta in concreto, che le parti avrebbero egualmente concluso il contratto di fideiussione ed il rapporto da questo garantito»;
– il Tribunale Roma in data 3 maggio 2019 (consultabile al sito www.ilcaso.it), secondo cui «[l]’illiceità di tali intese, seppur accertata dalla Banca d’Italia, non è idonea a determinare la nullità dell’intero contratto stipulato a valle, in primis perché non vi è prova che le intese di cui sopra siano confluite nel contratto in questione ed in secondo luogo poiché non vi è prova della lesione della libertà contrattuale del fidejussore. Il fidejussore infatti appare sempre vincolato alla prestazione della fidejussione nei confronti della banca del debitore principale e non appare potervi essere scelta da parte dello stesso in relazione ad una diversa forma di garanzia. Ne consegue che la eventuale declaratoria di nullità parziale delle clausole, in un’ottica di conservazione del contratto, appare irrilevante per il fideiussore atteso che il contratto sarebbe comunque dovuto incorrere con la banca del debitore principale»;
– il Tribunale Padova in data 29 gennaio 2019 (consultabile al sito www.ilcaso.it), secondo cui «[c]he la nullità da cui è affetto il contratto sia solo parziale e non totale si ricava dall’esame complessivo della vicenda contrattuale poiché è evidente che l’interesse dei fideiussori a garantire la debitrice permanga anche senza la deroga all’art. 1957 c.c. poiché tale garanzia ha consentito alla garantita di continuare ad avere credito sicché se ne deve inferire che i fideiussori avrebbero in ogni caso mantenuto l’interesse a rilasciare la garanzia».
La tesi della nullità totale
Le pronunce che avallano la tesi della nullità totale delle fideiussioni conformi al modello ABI prendono sempre le mosse dall’art. 1419, comma 1, c.c. ma giungono, tuttavia, a conclusioni diametralmente opposte a quelle dell’orientamento giurisprudenziale maggioritario. Nello specifico queste decisioni riconoscono alle clausole censurate dalla Banca d’Italia valore così essenziale nel regolamento negoziale da ritenere che in assenza di queste il contratto non sarebbe stato concluso.
Così si è espressa la Corte d’appello di Bari in data 15 gennaio 2020 (consultabile al sito www.expartedebitoris.it) secondo la quale è la stessa ABI che nel corso dell’istruttoria svolta dalla Banca d’Italia ha riconosciuto l’essenzialità di tali clausole. Così nel provvedimento della Banca d’Italia si legge che quanto all’art. 2 l’ABI ha sostenuto che si trattasse di clausola senza la quale non si potrebbe garantire alla banca l’effetto solutorio definitivo. La Banca d’Italia ha del resto riconosciuto che si tratta di fideiussioni diverse da quelle disciplinate nel codice civile la cui funzione verrebbe meno se le clausole più significative fossero eliminate (v. par. 36 del provvedimento). In virtù di ciò la Corte d’appello arriva ad affermare che in assenza di tali clausole la banca avrebbe perso interesse al rilascio della garanzia e pertanto non avrebbe accettato di concludere il contratto. A riprova di ciò, aggiunge la Corte, v’è la circostanza che le banche, nonostante il provvedimento della Banca d’Italia, abbiano continuato a impiegare i moduli contrattuali censurati.
Analogamente il Tribunale di Belluno in data 31 gennaio 2019 (consultabile al sito www.expartedebitoris.it) ha riconosciuto l’invalidità totale della fideiussione sulla base della irrinunciabilità delle clausole nulle. Secondo, infatti, il Tribunale di Belluno le clausole censurate rappresentano elementi essenziali nell’economia negoziale, assicurando «la stabilità della garanzia a prescindere dalla carenza dell’obbligazione principale, il risorgere della garanzia in seguito al risorgere del credito e l’integrità dei diritti derivanti alla banca dalla fideiussione fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, con l’effetto ultimo di approssimare il negozio inizialmente stipulato ad una garanzia di tipo autonomo». Del resto, prosegue il Tribunale, lo stesso impiego di formulari predisposti dalla banca per la stipula dei contratti di fideiussione in serie è indice del fatto che la banca non avrebbe concluso quel contratto senza quelle clausole.
In questo senso si segnala altresì il Tribunale Matera in data 6 luglio 2020 (consultabile al sito www.ilcaso.it) il quale ritiene che l’essenzialità delle clausole ai fini della conclusione del contratto discende dal fatto che «le pattuizioni (conformi allo schema ABI) contenute nelle clausole 2 e 9 della fideiussione prestata, hanno sicuramente avuto una funzione rilevante e fondamentale ai fini della conclusione del contratto […], pattuizioni con le quali l’istituto di credito ha rafforzato in maniera forte la garanzia», nonché il Tribunale Imperia in data 14 maggio 2020 (consultabile al sito www.ilcaso.it) secondo cui «contratti identici a quelli stipulati, ma privi della parte colpita dalla nullità, dalla banca non sarebbero stati offerti e dai garanti non sarebbero stati accettati» avendo le clausole nulle carattere essenziale.
Il Tribunale Salerno in data 5 febbraio 2020 (consultabile al sito www.ilcaso.it) giunge alla medesima conclusione attraverso un ragionamento parzialmente diverso. Il Tribunale, infatti, invoca a sostegno della nullità totale la contrarietà a buona fede ed ai canoni minimi di solidarietà sociale dei comportamenti precontrattuali e contrattuali che hanno costituito violazione della normativa antitrust. Secondo il Tribunale pertanto non è possibile dare rilevanza al principio di conservazione degli atti giuridici in quanto «la gravità delle violazioni in esame, – che incidono pesantemente sulla posizione del garante, aggravandola in modo significativo – rispetto ai superiori valori di solidarietà, muniti di rilevanza costituzionale (art. 2 Cost.), che permeano tutto l’impianto dei rapporti tra privati, dalla fase prenegoziale (art. 1137 c.c.) a quella esecutiva (artt. 1175, 1375 c.c.), ben giustifica che sia sanzionato l’intero agire dei responsabili di quelle violazioni».
La tesi della validità delle fideiussioni “a valle”
Altra parte della giurisprudenza di merito si è, invece, espressa a favore della validità delle fideiussioni predisposte secondo il modello ABI. Così, ad esempio, la Corte appello Napoli in data 13 gennaio 2020 (consultabile al sito www.dejure.it) ha respinto l’eccezione di nullità sollevata da un fideiussore per assenza di un nesso di dipendenza tra le garanzie prestate e lo schema di fideiussione predisposto dall’ABI. Sostiene la Corte che «perché possa aversi nullità non basta la semplice violazione dell’art. 2 L. 287/90, ma occorre che, per effetto di tale violazione, si determini la oggettiva incompatibilità tra il precetto posto dalla disposizione antimonopolistica e la clausola contenuta nei contratti a valle dell’intesa anti – concorrenziale» e che «la nullità prevista dall’art. 33 L. 287/90, essa riguarda esclusivamente le intese restrittive tra imprese, e non può applicarsi ai contratti che, sulla base di dette intese, siano stati conclusi con terzi».
Analogamente il Tribunale Busto Arsizio in data 26 Maggio 2020 (consultabile al sito www.ilcaso.it) ha negato la tesi della nullità della garanzia, rilevando che «[l]a norma citata vieta quindi le intese, (affermandone, con un pleonastico ossimoro, la nullità “ad ogni effetto”) ma nulla dispone circa le sorti dei rapporti commerciali con altri contraenti. Questo rilievo è sufficiente di per sé ad escludere che si possa predicare la nullità del c.d. contratto “a valle” per violazione di norma imperativa ex art. 1418, co. I c.c., in quanto, perché possa affermarsi la nullità negoziale per violazione di norme poste a presidio di interessi generali, è necessario che dette norme disciplinino direttamente elementi intrinseci alla fattispecie negoziale, conformandone la struttura o il contenuto, ovvero impongano determinate condizioni di liceità della stipulazione, quali ad esempio particolari autorizzazioni amministrative ovvero l’iscrizione di uno o entrambi i contraenti in appositi albi o registri».
2.2. La giurisprudenza di legittimità
Dopo la sentenza n. 28910/2017 la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi della sorte delle fideiussioni stipulate secondo il modello ABI.
Nel 2019 la Suprema Corte con la pronuncia n. 13846 del 22 maggio 2019 si è limitata a ribadire che «il contratto cosiddetto “a valle” costituisce lo sbocco della suddetta intesa, essenziale a realizzarne gli effetti. Infatti, tale contratto, oltre ad estrinsecare l’intesa, la attua: come è stato spiegato, la ratio della nullità ai sensi della L. n. 287 del 1990, art. 33, è quella “di togliere alla volontà anticoncorrenziale a monte ogni funzione di copertura formale dei comportamenti a valle”», senza tuttavia esprimersi circa la tipologia di nullità (totale o parziale) della fideiussione.
Successivamente la Cassazione con la sentenza n. 24044 del 26 settembre 2019 è ritornata sull’argomento affermando che la violazione dell’art. 2 della legge n. 287/1990 non comporta un’automatica nullità dei contratti “a valle”. È dunque possibile applicare l’art. 1419 c.c. quando «l’assetto degli interessi in gioco non venga pregiudicato da una pronuncia di nullità parziale, limitata alle clausole rivenienti dalle intese illecite». Né può essere sostenuta una nullità totale dell’atto in ragione della decisività delle clausole ai fini della conclusione del contratto poiché, afferma la Corte, «le clausole in questione erano funzionali all’interesse della banca e non dei fideiussori e che quindi, logicamente, solo la banca avrebbe potuto dolersi della loro espunzione». In ragione di ciò la declaratoria di nullità parziale delle sole clausole conformi allo schema ABI non ha pregiudicato la posizione dei garanti i quali – al contrario – sono così meglio tutelati. Questa pronuncia ha poi trovato sostanziale conferma nella più recente sentenza del 19 febbraio 2020 n. 4175 con la quale la Suprema Corte ha ribadito che «le nullità “a valle” delle fideiussioni omnibus in questione debbano essere valutate alla stregua degli artt. 1418 c.c. e segg. e che possa trovare applicazione l’art. 1419 c.c., laddove l’assetto degli interessi in gioco non venga pregiudicato da una pronuncia di nullità parziale, limitata alle clausole rivenienti dalla intesa illecita, posto che, in linea generale, solo la banca potrebbe dolersi della loro espunzione» (nel caso si specie la Cassazione ha affermato che in sede di giudizio di legittimità la nullità dell’intesa, per quanto rilevabile d’ufficio, non può essere accertata sulla base di una “nuda” eccezione sollevata per la prima volta con il ricorso per cassazione).
Il presente contributo ha valore solo informativo e non costituisce un parere professionale.